“Di la da fiume e tra gli alberi…”
Struggenti. Spietati, misteriosi. Hai sempre la sensazione di essere ad un attimo dal comprenderli. Quieti e impetuosi, ma non immensi come il mare, forse stanno ad esso come le arterie stanno al sangue. Attorno ai fiumi è nata la vita e si sono sviluppate civiltà che da essi hanno dipeso. Ci sono fiumi che sono di fatto essi stessi mondi definiti, e che definiscono civiltà. In questo senso Oceania ed Amazzonia sono assimilabili; al netto delle profonde diversità lo scorrere dell’acqua ha significativamente segnato entrambe.

La metafora del fiume che abbiamo scelto per questa narrazione è evocata dalle consuete forme di polistirolo che hanno trovato nuova vita nelle installazioni ospitate nei #MagazzinidelMap; non sono più seste per gettare arcate e non sono finite in discarica , sono diventate l’elemento alfabetico costante delle nostre esposizioni . Oggi sono onde, solcate idealmente senza soluzione di continuità da figure ancestrali di popoli lontani tra loro. ma uniti dalla importanza vitale della presenza dell’acqua, che trascina con se tronchi e vita.

Le opere tradizionali provenienti da Oceania e Amazzonia dialogano con il nostro tempo e con il nostro mondo attraverso le sedie scultoree di Mario Botta ( Quinta, 1985, Alias) e l’installazione di Matia Chincarini, Oponopon. L’artista ha pensato questa opera ispirandosi sia ai Surrealisti sia ad una antica pratica di guarigione e riconciliazione hawaiana chiamata Ho’oponopono, che si traduce come “mettere le cose al posto giusto”.
In realtà fin dal sottotitolo dell’evento abbiamo cercato la connessione con i nostri linguaggi, scegliendo l’omonimo romanzo di Hemingway , da cui è stato tratto anche un bel film. Di la dal fiume e tra gli alberi narra una bella storia, una storia di vita, morte, amore e memoria. Che sia ambientato tra il fiume Tagliamento e Venezia, luoghi apparentemente così diversi dagli arcipelaghi Oceanici e dalle foreste pluviali dell’Amazzonia, crea un contrasto solo apparente; c’è lo stesso intimo, struggente e malinconico rapporto con l’acqua, presenza discreta ma costante. E’ anche interessante riflettere sulla struttura letteraria che fu la cifra del romanzo hemingwayano, la “teoria Iceberg”, o teoria di omissione. Essa consiste nel mostrare in superficie il minimo indispensabile lasciando sottintendere quanto si muove nel profondo. Non credo si tratti solo di sapere ottenere il massimo risultato con il minimo dispiego di parole, anche se essere conciso è una qualità che certamente Hemingway praticò essendo stato anche giornalista. C’è una formidabile capacità di rendere i fatti narrati la rappresentazione simbolica di ciò che accade nell’animo del diversi personaggi, e di trasformare quella rappresentazione in evidenza archetipale che ci coinvolge direttamente, singolarmente.
Esattamente come accade in linguaggi apparentemente lontani da noi come quelli evocati in questa esposizione.
Delle opere provenienti dal’area Amazzonica abbiamo già parlato qui https://www.academia.edu/96042811/Amazzonia_le_maschere_anarchiche;
trovate informazioni su ogni singolo oggetto qui https://flic.kr/s/aHBqjCsrT9

ed ecco alcune note sui Flute Stopper provenienti da P.N.G.
WUSEAR, la voce degli antenati .Nelle culture antiche, ancora legate ad una visione sinestetica delle attività umane più rilevanti, suono, gesto, forma, movimento e simbolo sono inscindibili. E’ il caso dei “Flute Stopper” i tappi per flauti usati presso molti popoli di Papua Nuova Guinea chiamati wusear , realizzati in legno duro e finemente scolpiti con figure antropozoomorfe. I flauti venivano invece ricavati da cilindri cavi di bambù, e suonati come un flauto occidentale, soffiando attraverso un foro sul lato dello strumento vicino all’estremità superiore. Questa descrizione non esaurisce però l’intero spettro d’uso; alcuni studiosi infatti vedono nel loro suono anche l’evocazione del canto degli uccelli sacri di quei popoli ( si veda Caroline Legrand, Sepik Flutes: The Voice of the Iatamul people ancestor, 24 Marzo 2022, Gazzete Drouot ) . Erano considerati sacri, e a differenza di altri strumenti musicali ben visibili negli spazi comuni dei villaggi, erano tenuti nascosti nelle Case cerimoniali degli uomini , o haus tambaran. Durante i riti di iniziazione dei ragazzi, venivano suonati in coppia, faccia a faccia, da due anziani che soffiavano alternativamente, creando un suono continuo; davano voce ad antenati particolarmente venerati , di cui portavano il nome. I giovani iniziati dovevano strisciare attraverso la bocca di una struttura a forma di coccodrillo, contenente lame appuntite ad evocare i denti aguzzi del grande animale totemico. Le ferite provocate, cicatrizzando ad imitazione del morso del coccodrillo, testimoniavano il passaggio all’età adulta del giovane iniziato. Si può dire che i flauti, più che strumenti musicali nel senso che in occidente diamo a questa parola, fossero usati come amplificatori , grazie ai quali chi celebrava la cerimonia di iniziazione poteva modulare e cambiare la propria voce. Attraverso questi, la figura posta sopra il flauto, chiamata wusear, “parlava” agli iniziati. E’ il wusear a giocare un ruolo fondamentale nella cerimonia: raffigura il figlio dello spirito madre coccodrillo, ‘Asin’. Durante i rituali di iniziazione il grande e potente spirito coccodrillo Asin ingoia i giovani, che successivamente “rinascono” da adulti. E’ interessante notare che il wusear non rimanda metaforicamente ad un solo elemento simbolico, come il coccodrillo, ma ad un insieme composto da elementi umani e parti di uccello ( sopratutto il becco ), ad indicare le diverse forze energetiche che essi rappresentano. E’ un esempio evidente dell’uso creativo di forme, colori e materiali come elementi alfabetici di un linguaggio metaforico incardinato sulla potenza evocativa dell’immagine.
Giuliano Arnaldi, Onzo. 4 settembre 2025


